lunedì 20 ottobre 2014

LA MANIFESTAZIONE FIOM: IL NOSTRO COMMENTO E QUELLO DI ASKATASUNA




Pubblichiamo due "commenti" sulla manifestazione di Venerdì a Torino, uno del nostro compagno Adriano Alessandria, e l'altro dei compagni di Askatasuna, già apparso su Infoaut.

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La manifestazione dei metalmeccanici mi ha fatto una buona impressione: 10.000 lavoratrici e lavoratori metalmeccanici erano da qualche tempo che non si vedevano per le vie di Torino.
A differenza di altre manifestazioni della Cgil, era tutt'altro che uno schieramento di apparati, ma di numerosi spezzoni di operai e operaie in sciopero. Il corteo appariva molto più dinamico caratterizzato da slogan e parole d’ordine.
Inoltre, ed è fondamentale, dalle fabbriche arrivavano buone notizie sulle percentuali di astensione.
Nel comizio finale, la portata della violenza antioperaia e antisindacale del governo Renzi è stata inquadrata meglio del precedente dibattito in FIOM.
Devo dire inoltre che in questi giorni, anche in qualche compagno, sembrava non esserci la percezione che ci sono elementi nuovi nella situazione sociale, di volontà di fare qualcosa rispetto all’attacco padronale e che queste potenzialità vanno valorizzate al massimo.
 
Scorrendo però gli articoli e i servizi fotografici sui giornali riguardanti lo sciopero e la manifestazione, quasi tutto lo spazio è dedicato agli scontri avvenuti alla fine del corteo, in fondo alla piazza.
Lo sciopero completamente offuscato. 
Offuscati i tanti scioperi riusciti. 
Nessuna visibilità ai tanti eroici ed eroiche scioperanti della Fiat raggiunti in piazza dalla telefonata del responsabile aziendale, che chiedeva loro il perché dell'assenza sul luogo di lavoro.
Nell'ombra la richiesta di sciopero generale.
Poco spazio ai lavoratori in sciopero del CAAT -mercati generali- organizzati dal SiCobas, che erano in corteo con i metalmeccanici.
 
La polizia non si è persa l'occasione: ha approfittato delle scaramucce attivate da qualche decina di manifestanti per sparare una grande quantità di lacrimogeni ponendo fine alla manifestazione dei metalmeccanici e della Fiom.
Alcuni antagonisti sembrano non rendersi conto della complessità della lotta di classe, delle difficoltà e della reale necessità di costruire l’unità tra i diversi settori sociali; probabilmente per loro è prioritario dare visibilità al malessere sociale con  un’espressione fisica e spettacolare e con una dinamica che è sostanzialmente autoreferenziale.
I giornalisti asserviti alla propaganda della classe dominante, non aspettano altro.
La polizia ne approfitta; in questa situazione ha potuto così assestare per conto del governo un colpo allo sciopero dei metalmeccanici e alla Fiom.
 
Così la piazza si è svuotata, la battaglia politica che noi de "Il Sindacato è un'altra cosa”, stavamo facendo, interrotta.
La piazza affollata di operai e operaie, lavoratrici e lavoratrici in sciopero, di rappresentanti sindacali, è un luogo di battaglia politica, di confronto e discussione che si fa con volantini, documenti, gridando parole d'ordine, applaudendo o fischiando gli interventi dal palco, preparando le scadenze future.
 
I compagni e le compagne dell'opposizione di sinistra in Cgil, insieme allo striscione del SINDACATO E' UN'ALTRA COSA, avevamo esposto lo striscione molto visibile con la scritta “L'articolo 18 non si tocca - sciopero generale” e stavamo  diffondendo un volantino, che propone alle lavoratrici e ai lavoratori di lottare per arrivare allo sciopero generale, per non lasciare da soli i lavoratori, per non ripetere l'onta di non aver contrastato la controriforma Fornero.
 
Questa battaglia politica, che stavamo costruendo nella piazza con lavoratori e lavoratrici in sciopero, e stata interrotta da una pratica antagonista del tutto prevaricante che, nei fatti ha ignorato migliaia di lavoratori in sciopero, contro padroni sempre più intolleranti alle pratiche di lotta e sindacali collettive e da un apparato repressivo al servizio del governo che non sopporta affatto di essere contestato.

Tali pratiche, in apparenza più radicali, anziché far avanzare su posizioni più avanzate le mobilitazioni, finiscono per soffocare i tentativi di ricostruzione del conflitto. Gli apparati burocratici conservatori delle organizzazioni sindacali avrebbero di che ringraziarli.
 
Che certi scontri minoritari e dimostrativi, rendano più difficile far partecipare compagni e compagne a iniziative di lotta, si è reso evidente nel pomeriggio di sabato, alla manifestazione contro il vertice dei ministri del lavoro del Consiglio d'Europa, un corteo che aveva tutte le potenzialità per essere numericamente e qualitativamente efficace, ha visto una scarsissima, in concreto nulla, partecipazione popolare allargata.
 
Ma una critica va anche rivolta al servizio d'ordine svolto dai delegati FIOM. Per noi la gestione di un servizio d'ordine è sempre esclusivamente politica e mai militare, ma se si ritiene opportuno uno strumento difensivo, questo deve essere rivolto a difendere la piazza e i lavoratori che stanno partecipando alla manifestazione e non avere come unica preoccupazione il palco degli oratori.
 
Da parte nostra la consapevolezza che il governo non s’impressiona davanti ad "assalti alla zona rossa"; è certo che teme molto di più operai e operaie che ritrovano il coraggio e la forza a scioperare contro un padronato sempre più tracotante, per il semplice fatto che in questo modo si bloccano le attività produttive.  Infatti, la ripresa di una lotta operaia non può che aiutare tutti coloro (precari, disoccupati, studenti…) che subiscono i colpi delle politiche di austerità e che vogliono provare a resistere, per battersi tutti insieme contro le politiche dell’austerità del governo, per il salario, il reddito, l’occupazione.
 
20 Ottobre 2014
 
ADRIANO ALESSANDRIA

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Lettera aperta alle operaie e agli operai della Fiom

  • Scriviamo queste poche righe senza sapere esattamente a chi indirizzarle. A quelli tra voi che difendono le poche certezze accumulate a fatica dopo una vita di sfruttamento? A quelli che hanno una famiglia numerosa, o devono pagare l’Università ai figli, che poi restano disoccupati? A quelli che abitano i quartieri sempre più degradati, perché i sindaci sono troppo occupati a costruire vetrine, ZTL e lusso nel centro? A chi è in cassa integrazione, a chi vede la propria fabbrica chiudere, a chi ormai sa che la cassa sta per finire? A chi vuole scendere in piazza, perché ha scelto l’unica organizzazione sindacale di massa che è sembrata, in alcuni frangenti, sapersi contrapporre alla propaganda dei governi e di Confindustria? A chi tra voi, quando scende in piazza, è felice di trovare al proprio fianco l’altra parte del mondo del lavoro, quella precaria, sottopagata, senza statuto dei lavoratori e senza le conquiste delle passate generazioni, ma con un futuro tutto da conquistare? A chi tra voi, invece, è preoccupato ogni volta che vede nel corteo dei ragazzi, gente che urla la propria rabbia, che parla linguaggi diversi e attraversa diversamente le stesse contraddizioni sociali?
    Dovremmo indirizzare questa lettera agli operai che, ieri, si sono schierati in cordone contro di noi, dicendo poi ipocritamente che intendevano fronteggiare la polizia? O a quelli che hanno subito avuto da ridire su questo atteggiamento, creando discussione anche dentro al vostro servizio d’ordine? A chi ha avvicinato chi si scontrava con la polizia dicendo che avevamo “rotto il cazzo” con il nostro “casino”? A chi ha testimoniato la propria approvazione per la rabbia della piazza contro il vertice dell’ipocrisia? Dovremmo rivolgerci a chi, tra voi, è capace soltanto di ripetere a macchinetta ciò che i funzionari del sindacato gli infilano nelle orecchie da vent’anni, o a chi ragiona e guarda la nudità dei propri interessi di classe, ammettendo che – di fronte agli attacchi del padronato in questi vent’anni – il sindacato, e spesso gli stessi operai come corpo sociale, “non hanno fatto nulla”, “non abbiamo espresso che mezze reazioni” o “parole”, “comizi”, “cortei senza risultato”, mentre le vostre e le nostre vite vanivano piano piano distrutte?
    Ci rivolgiamo a tutti voi, naturalmente, ma soprattutto a chi, tra voi, la pensa diversamente da noi. Con un’eccezione: Maurizio Landini. Troppo sfacciato è stato il suo comportamento ieri mattina, troppo indifferente, menefreghista, ipocrita, calcolato. Ha avuto l’atteggiamento di chi non vuole vedere la realtà, anzi dalla realtà sociale odierna è completamente alienato, capace di vedere in ogni scena che si pari davanti ai suoi occhi soltanto un flash-back o un dejà vu. Un atteggiamento arrogante e ignorante a un tempo. Non si è chiesto perché la polizia avesse caricato gli studenti e i precari. Non si è chiesto perché studenti e precari avessero tentato di divellere le barriere tra loro e il vertice. Ci ha immediatamente “condannati”, manco fosse Gesù Cristo, perché avevamo osato “turbare” il centro durante il suo comizio: per questo saremmo stati degli “sciocchi”. Impossibile che la rabbia di quei giovani possedesse un retroterra di pensiero, convinzioni, analisi magari diverse dalle sue sul conflitto sociale, sul vertice e sul ruolo dei “lavoratori della polizia” in un’epoca di crisi economica e tensioni sociali. Impossibile che le emozioni e la rabbia della nostra piazza avessero una motivazione di classe altrettanto legittima di quella dei metalmeccanici. Siamo stati soltanto degli stupidi, degli sciocchi; forse perché non abbiamo ascoltato con la dovuta attenzione le sue illuminanti parole?
    Eppure quelle parole le abbiamo ascoltate, mentre la celere cercava di colpirci alla testa o al petto con decine di granate lacrimogene (che, usate in questo modo, possono essere letali) come ha fatto negli ultimi tre anni in Val di Susa. Sentivamo la nenia delle sue parole mentre ragazzi di sedici anni venivano pestati da otto agenti contemporaneamente, ammanettati dalla Digos, portati in questura e poi denunciati, trattenuti ai domiciliari o in carcere. Le abbiamo lette su Internet subito dopo quando il segretario, non contento di tutto questo, ha criticato la polizia non per aver difeso il vertice e attaccato gli studenti, ma per non averlo difeso abbastanza bene e non aver attaccato abbastanza efficacemente (forse “preventivamente”) gli “antagonisti”. (Per poi andare a protestare in questura e farsi pure fare il culo dal questore nei suoi uffici).
    Per questo non ci rivolgiamo a Landini, ma agli operai che lo ascoltavano, magari infastiditi dai rumori degli scontri cento metri alle loro spalle. A voi chiediamo: per quanto ancora vorrete crederete all’idea che soltanto sfilando e mostrando i vostri numeri, una volta ogni tanto, fermerete l’assalto dei padroni alle vostre vite? Per quanto ancora continuerete a pensare che ascoltare i comizi dei vostri dirigenti è un buon corrispettivo per aver rinunciato a un giorno di salario? Per quanto ancora continuerete a credere alla favoletta che raccontano tutti i sindacalisti, cioè che i giovani sono “provocatori” usati dalla polizia, che dietro di noi c’è il governo, c’è il complotto e la strategia della tensione? Per quanto ancora vi farete prendere in giro da queste cazzate? Sappiamo che per molti di voi l’organizzazione è importante, ha incarnato molto in termini di esperienze, lotte e speranza. Noi di questo abbiamo rispetto, nonostante le differenze che possono esserci tra i nostri modi di intendere una strategia e un’organizzazione. Ma soltanto avendo per noi lo stesso rispetto mostrereste di possedere ancora il senso di una lotta che sia di classe. Lo sapete che uno degli arrestati è operaio di fabbrica? Del resto: anche se così non fosse? Ci auguriamo voi non crediate che gli sfruttati esistono solo in fabbrica: sareste rimasti un po’ indietro.
    Sappiamo bene, abitando a Torino, quanto per voi sia insolito ricevere critiche. Sappiamo quanto siete abituati ad essere coccolati: dal sindaco, da sindacalisti di ogni risma e pedigrì, moltissimo dai giornalisti, puntualmente dai politici. Chi non ha a cuore il destino dei “poveri operai” dell’arcipelago industriale piemontese? Chi non ha, per voi, una buona parola? Chi non è pronto a darvi solidarietà, a parole e anche accettando le vostre contestazioni, dicendo di “capire” i vostri “problemi”? Ebbene, ci spiace dirvelo, ma tutti questi signori che vi coccolano a parole o sulla carta stampata sono quelli che ve lo stanno mettendo nel culo da un bel po’ di tempo a questa parte. Ci spiace davvero dirvelo così francamente, ma è la verità, e la maggior parte di voi, in cuor suo, lo sa. Allora noi ci permettiamo di rivolgervi a voi in modo diretto, restando su un piano politico da pari a pari, da sfruttati a sfruttati (che è quello che a noi interessa, lasciamo ad altri la propaganda) perché non siamo ipocriti come il vostro segretario.
    Sappiate, anche per il futuro, che non abbiamo nessuna soggezione psicologica nei vostri confronti. Siamo operai nella grande catena di montaggio della metropoli. Siamo quello che vi sporgono il caffè al bar la mattina. Siamo quelli che hanno disegnato il sito del vostro sindacato o del locale dove, una volta ogni tanto, vi prendete una birra. Abbiamo cucinato la pizza o il toast che Chiamparino e Marchionne vi hanno lasciato come elemosina. Abbiamo scaricato le merci che trovate al mercato, dal tabaccaio. Ci siamo presi cura di vostra cugina quando è uscita fuori di testa. Faciamo ripetizioni ai vostri figli. Trasportiamo nei supermercati i giornali dove coccolano voi e insultano noi. Cerchiamo i nostri prossimi lavori per la maggior parte del nostro tempo “libero”. Non abbiamo grandi contratti o garanzie (quelli li ha conquistati una classe operaia che, a Landini, ieri, lo avrebbe preso a calci nel sedere); non abbiamo cassa integrazione quando ci licenziano e guadagniamo la metà o un terzo di voi.
    Per tutto questo, dite al vostro segretario che quando si rivolge a noi in piazza, deve sciacquarsi la bocca; perché siamo incazzati neri, non vogliamo fare i lavori socialmente utili come vaneggia lui, vogliamo dignità e rispetto, siamo proletari e vogliamo far saltare in aria questa società di merda. Magari voi non l’avete ancora capito (la polizia l’ha capito benissimo): siamo gli unici alleati che avete in Italia. Sì, proprio noi, quelli che tirano i pomodori contro chi difende il ministro Poletti al Regio. Solo noi. Volete continuare ad ascoltare i comizi, a sfilare senza mettere in discussione nulla? Accomodatevi. Noi non siamo cristiani: a noi gli oppressi interessano quando si ribellano, in caso contrario se ne occupino i missionari. Volete confinare la pratica dello sciopero entro i parametri che il sindacato ha concordato con i padroni? Guardate i facchini in questi giorni, guardate quel che hanno fatto in questi anni autotrasportatori, gli autoferrotramvieri, e tante altre categorie di lavoratori che non lavorano in fabbrica. Non dovete insegnare niente a nessuno, al massimo, come tutti noi, imparare un sacco e una sporta. Volete difendere il posto, il salario, la vostra famiglia? Siate pronti a scontrarvi con ben più che soltanto la polizia. Non volete? Addio salario, addio famiglia.
    Confrontiamoci, da compagni, ma a partire da pratiche reali di conflitto, non della pantomima di sindcalisti che devono poi candidarsi alle europee; e non veniteci a dire che ci siamo fatti scudo di voi, perché ieri voi siete stati al totale riparo dagli scontri, le cariche le abbiamo subite (e respinte al mittente) noi. Non ripetete le cazzate che dice Landini sul fatto che noi abbiamo “usato” il vostro corteo, perché il nostro noi l’avevamo organizzato molto prima e l’avremmo fatto comunque, con o senza di voi. Come abbiamo fatto e faremo mille altre volte. Quindi non preoccupatevi. Non preoccupatevi se ci sono gli studenti e i precari in piazza; preoccupatevi se la Camusso dice, in mezzo migliaia di famiglie di licenziati, ieri a Terni, che si aspetta da Confindustria una soluzione. Non temete noi, i vostri compagni, gli appartenenti alla vostra stessa classe; quelli che vendono, come voi, la nostra forza lavoro. E non temete neanche la polizia che difende i ministri, perché ha paura di voi come di noi, soprattutto se sapremo parlarci. Temete chiunque vi dica che, in questo conflitto, dovreste essere spettatori, rimanere neutrali e subire (pur nella finzione di un conflitto sempre soltanto annunciato) tutta la miseria che i padroni non hanno finito di scaricarvi addosso.
    Precar*, student*, giovan* in piazza contro il vertice
    (dove c'erano i lacrimogeni)

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